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lunedì 16 agosto 2021

Annuncio delle nomination alla Medaglia di Giuseppe Mazzini 2021

Quest'anno abbiamo pensato fosse doverosa una premessa a cappello delle valutazioni sulle nomination.
Quest'anno il numero di giochi e la qualità produttiva degli stessi si è alzato notevolmente (e i numeri dei giochi che ci stiamo segnando da valutare per l'anno prossimo sono certamente superiori), ma a differenza degli anni precedenti abbiamo fatto enorme fatica a trovare una rosa di giochi che ci convincesse appieno. Infatti quasi tutti i giochi italiani partecipanti usciti quest'anno hanno qualche difetto di design che noi riteniamo "importante". Il quasi è doveroso, poiché c'è effettivamente un titolo che si è nettamente distinto per l'assenza di tale difetto.

Ma abbiamo comunque pensato che l'importante sia dare continuità allo scopo principale della Medaglia Mazzini, che è fornire visibilità agli autori italiani. E anche in un anno poco ispirato (a nostra umile idea) come questo sul fronte del puro game design, è nostro dovere registrare ed evidenziare come diversi autori stanno garantendo al netto di tutto un livello qualitativo elevato, globalmente senza precedenti per numero e livello medio, e che i "difetti" di design non sono che piccole lezioni da imparare, nella via del miglioramento.
Coscienti che ma Medaglia Mazzini non vuole tanto premiare il colpo della vita di un singolo, ma la consistenza nel tempo di un gran numero di autori che meritano sempre di più maggiore attenzione e notorietà (e perché no, possibilità da parte di grandi editori del settore).

Anche per questo motivo, quest'anno, teniamo a citare brevemente anche altri giochi che sono stati valutati e che sono stati al centro di un grosso dibattito interno a noi, ma che sono stati esclusi alfine dalla rosa finale:

E dunque, i giochi che entrano in nomination per l'anno 2021 nella categoria Medaglia "Giuseppe Mazzini" sono:

  • Don Quixotesque (edito da XV Games) di Helios Pu
A noi l'Helios Pu autore piace sempre molto e anche in questo caso non siamo da meno nell'apprezzare una volta di più la sua estrema perizia nella creazione di un gioco.
Ci duole però ammettere che il suo Don Quixotesque è forse il lavoro che ci piace meno in assoluto, e per distacco, col resto della sua produzione attuale.
Lasciateci dire che come autore, Helios, sta dando segno di continuare a maturare moltissimo, il testo è scritto in modo esemplare, con precise divisioni in paragrafi che sono brevi, chiari, lineari e funzionali, i box di esempio sono sempre puntuali, così come i box e le tabelle di aiuto durante la creazione e le conduzioni di scena.
Gli intenti sono chiari, delineati fin dal titolo, ben spiegati e con meccaniche che vanno dritte al punto. I temi, in fondo quelli della percezione della realtà, della solitudine umana, della malattia mentale più psicotica sono presenti e ben caratterizzati.
E allora, perché abbiamo detto che il gioco ci convince meno tra quelli nella sua ludografia?
Perché troviamo che la parte che rappresenta le meccaniche del gioco in sé sia in fondo una ben misera cosa. Probabilmente è un ottimo e ben confezionato strumento per spingere alla narrazione autogenerativa, ma ci sembra che manchi davvero il confronto con l'altro, inaspettato, il non prevedibile o anche solo la sorpresa durante l'esplorazione di un tema.
Le due principali voci narranti, quella psicotica del "nobile decaduto" e quella concreta del "servitore", possono andare avanti senza mai davvero toccarsi, e senza mai che ci sia davvero un interesse (ludico) a che inoltrarsi nella storia altrui, ribaltarne il significato, farsi influenzare. Manca proprio quello che è il fondamento geniale dell'opera letteraria (a nostro parere comunque un obiettivo davvero difficile da ottenere): il fatto che se la parte concreta della storia è vera e triste, invece la parte dei giganti non rappresenta solo la follia umana, ma anche una chiave di lettura diversa, in parte allegorica, in parte storia, e in fondo critica (a sé e alla controparte concreta ma cinica e disillusa). Una parte del racconto di ciba dell'altra e le rilancia in uno scambio continuo. Mentre nel gioco, quello che più spesso le meccaniche concedono ai giocatori è ognuno di tirare dritto per la propria strada dovendo solo tenere conto di qualche piccolo paletto inserito dall'altro, ma senza alcuna necessità che le due storie si debbano confrontare davvero, l'una criticando l'altra.
Poche e molto estreme le interazioni di gioco vero tra i giocatori, addirittura in un caso importante, di mera preferenza sul "racconto più bello" quasi troppo brutto e sgraziato per sembrare opera di Helios.
Eppure, la tecnica c'è tutta, delle idee sono brillanti e funzionali, come le scene di Meditazione, Ricordo e Sogno. Credeteci se diciamo che è un gioco che ogni autore italiano dovrebbe leggere e da cui trarre molti insegnamenti. Anche a dispetto di quanto stiamo scrivendo di negativo. E crediamo che molti potranno godere una volta o due una partita a questo gioco. Pensiamo però che lasci davvero un po' poco e che abbia vita breve nelle voglie di giocatori che vogliono davvero vivere coinvolgenti esperienze ludiche.
Chiederemmo a Helios, per il futuro, di provare a concentrarsi di più sull'emozione, su quell'affezione alle storie e alla ricerca del confronto con "l'altro giocatore" che generano imprevedibilità. Ci pare che sempre più al crescere chiaro e distinto di conoscenza e tecnica, stia scemando la passione. Che era così chiara e pura in quell'imperfetto Be-Movie e già un po' si era persa in Kaiser (e Fahrenheit) e qui quasi risulta assente.
Nei prossimi anni sappiamo essere in arrivo opere importanti per la sua carriera, e speriamo di poter ritrovare il suo cuore.


  • Crescendo Giocoso Ritornello (edito da NessunDove) di Autori vari sotto il nome collettivo di Italian Chamber Orchestra (ma vale la pena citare anche Laiv.it)
Che dire, non è facile valutare prodotti di questo tipo. Innanzitutto perché è quasi più assimilabile a una antologia, non un gioco, ma una lista di tanti (12) giochi di ruolo dal vivo (o da camera), inoltre, perché proprio essendo giochi dal vivo sono più insidiosi da valutare e giudicare.
E pertanto, vogliamo toglierci dall'imbarazzo: tra tutti noi siamo riusciti a giocarne 10 dei 12 e siamo riusciti a farci un'idea complessiva dell'opera abbastanza strutturata. E l'idea che ci siamo fatti è che ogni singolo gioco presente in quest'opera magna, diretta da Oscar Biffi e Maria Guarneri, se presentato in una forma editoriale singola, sarebbe sicuramente finito in questa lista di nomination.
Crediamo sia incredibile il livello complessivo raggiunto, non solo per la quantità di temi, esperienze, e meccaniche proposte, ma anche per la qualità generale. Tutti i giochi hanno l'idea di essere stati testati, provati e limati più e più volte. Ognuno con cura, ognuno capace di arrivare a un livello di sublimazione ideale per un manuale che non sbaglia un colpo.
Poi, schede di presentazione di ogni singolo gioco molto specifiche e complete, ideali per capire se il gioco è nelle corde o se ci sono gli elementi minimi (persone, materiali, ambiente, ad esempio) per giocare.
E poi ancora istruzioni (e appoggio online informatico) per poter giocare anche senza la necessità di materiali "analogici" (o "acustici" come lo definiscono loro, mantenendo la metafora musicale).
E non mancano i "principi" secondo cui andrebbero giocati, con un coraggioso e potente abbandono delle metafore cinematografiche o teatrali allo scopo di non ricadere negli stereotipi sbagliati che troppo spesso il gioco di ruolo (anche quello live) si porta dietro.
Quello che però ci sorprende di più è l'enorme lavoro di coordinamento che c'è dietro. Non si può improvvisare un libro del genere, nemmeno se la qualità fosse più bassa.
Speriamo solo che a questo Ritornello possano fare seguito molte altre "Strofe", per il bene di tutti noi.
Non entreremo nel merito dei singoli giochi, perché sarebbe troppo lungo analizzarli tutti uno a uno e, dopotutto, troveremmo scorretto analizzarne solo alcuni (esaltandoli) a dispetto di altri. Meritano tutti e quello che eleva tutto sopra ogni cosa è l'aspetto totalmente orchestrale dell'opera.


  • Valraven (edito da The World Anvil) di Alberto Tronchi
Alberto è un autore che, anche se finora non premiato e l'anno scorso assente da queste liste (perché davvero il gioco non ci convinceva in diversi aspetti, tra cui una nomenclatura spesso troppo barocca e impronunciabile), piace molto a gran parte delle teste dentro le Carbonerie Ludiche. Si attende sempre con una certa aspettativa ogni suo lavoro, da solo o in coppia con l'amico (ludico) di sempre, Daniel Comerci.
E riteniamo che l'opera seconda con il sistema Monad (made in Tommaso De Benetti, valida figura indie editoriale italiana) meriti di essere citata e celebrata.
Il gioco ha un'idea forte e ben costruita, basata grandemente sull'opera Berserk del (compianto) Kentaro Miura e con qualche idea coerente e sensata rubata qua e là da altre opere nipponiche e non.
Alberto usa tutta la sua professionalità, dove emerge prepotentemente il grande lavoro passato negli anni a lavorare sul sistema FATE, per confezionare delle idee molto ben fatte e che partendo dal trampolino della creazione del personaggio offrono una spinta narrativa fortissima per il dispiegamento di partita e storia.
Sono apprezzabilissimi infatti i Descrittori (e il modo in cui si creano a partire da una matrice) che chiaramente ricordano da vicinissimo gli Aspetti di FATE e che hanno un funzionamento simile, sia per le ricadute narrative, sia per le ricadute meccaniche (premiano quando li si usa in modo penalizzante per il personaggio, premiano quando li si usa per perimetrare le abilità del personaggio, in ogni caso rappresentano sempre quello che il giocatore vuole emerga dalla fiction).
Ma sono apprezzabili anche gli Attributi, che in fondo sono la sapiente riproposizione in altro framework degli Aspetti di FATE Accelerato, con medesime funzioni e che tanto fanno bene alla fluidità della storia e giocattolosità del personaggio.
Ma quello di cui siamo veramente innamorati è La Via della Perdizione, che fa da stupendo collante narrativo con la vera tematica di fondo della storia (di Berserk, si intende), si inserisce bene nelle meccaniche di gioco e anzi rappresenta il vincolo fondamentale sia per evitare morti fin troppo facili e vincolo fondamentale per crescere in punti esperienza, ossia in quella sottomeccanica che permette l'evoluzione e la crescita del personaggio. Con la Perdizione Alberto chiede ai giocatori di seguirlo nella Danse Macabre di Berserk, in un instabile equilibrio da ricerca di redenzione e necessità di sopravvivenza, tra morte e corruzione. Una danza che premia chi riesce a essere più ambiguo e antieroe possibile.
A fare purtroppo da contraltare con le belle idee (un po' frutto del puro atto artistico di Alberto, un po' frutto della sua grande artigianalità si saper riadattare in modo efficace per il suo gioco quanto di già fatto bene altrove da altri) c'è però quella scelta di essersi voluti ancorare ancora in modo così netto al cuore meccanico del Monad System. Non ci dispiace affatto una libera reinterpretazione delle meccaniche del Monad al servizio del gioco. Ma in questo caso ci pare che si sia voluto non toccare troppo un "sepolcro imbiancato" del gioco di ruolo.
Non ci si voglia troppo male, ma gli elementi centrali del Monad sono "vecchi" perfino per l'ambiente tradizionale del gioco di ruolo attuale con un MC (il GM di questo gioco) troppo al centro di tutte le scelte: decide lui quando si tira, e perché (cioè è solo lui depositario dell'estetica di gioco e della frequenza di gioco), decide lui la sostanziale difficoltà (bizzarra poi la richiesta di farlo in due momenti separati cioè di valutare la base, quasi fosse oggettiva e in secondo momento valutare l'aumento, equilibrio o diminuzione a seconda di aspetti situazionali... tanto varrebbe fare già tutto in un unico momento, dato che comunque sceglie sempre tutto lui, senza intervento esterno), decide lui quale sia l'Attributo sul quale di tira. E, inoltre, è sempre lui a narrare cosa succede nella storia se il personaggio ha successo. (Le uniche concessioni al giocatore: se aggiungere in modo meccanico fuori dal contesto della storia, cioè asettico, se usare più dadi e rischiare di più; se spendere pochi punti disponibili per mettere in gioco descrittori; e cosa bella, descrive lui se il personaggio fallisce, pur dovendo rispettare dure condizioni imposte).
Insomma, è davvero un sistema che anche nel sottobosco dei puri tradizionali ha un sapore antico di cenere e polvere, con un GM prezzemolino e che ha potere di far succedere e accadere sempre quello che vuole, a discapito di quanto di bello messo sopra da Alberto e di quanto potranno mai costruire e proporre i giocatori. Sarebbe in fondo bastato anche solo un far sì che siano i giocatori a proporre l'attributo e che ci potessero essere almeno una o due possibilità di influire sulla meccanica di tiro attraverso la fiction generata fin lì (o come step che si aggiunge lì per lì) per farne un gioco molto più grandioso e innovativo. 
Ma chissà, magari Alberto ci ascolterà per la sua opera successiva (immaginiamo non Broken Tales, che ormai viaggia spedito verso la forma editoriale), o magari ci ascolterà Tommaso, che concederà ad Alberto la possibilità di innovare in profondità anche il cuore del motore meccanico.


  • L'Ultimo Bianco (edito da Panzer8) di Matteo Sanfilippo aka Arco Deleggen
Forse quest'opera di Matteo Sanfilippo è la classica sorpresa dell'anno che più non ti aspetti, giunta da un autore ancora tutto da scoprire.
Ma credeteci, l'Ultimo Bianco merita tutte le attenzioni del caso, un gioco di narrazione minimalista e ambientalista, con un grado di romanticismo molto spiccato.
Il meccanismo alla base del gioco è estremamente semplice, financo banale. C'è un soggetto di fondo, la ricerca dell'ultimo esemplare di orso bianco in un futuro prossimo in cui è ormai scomparso quasi del tutto, e ci sono dei personaggi che ognuno in solitario, o quasi, hanno deciso di tentare la ricerca, spinti dall'anelito d'avventura e forse dalla speranza che tutto non sia ancora perduto nella lotta ambientalista (di cui, in fondo, l'orso polare ne rappresenta una sorta di logo, un po' come il panda per il WWF).
A giro ogni giocatore pesca una carta (mazzo francese, senza jolly), fa un paio di operazioni meccaniche, tra qui leggere i suggerimenti tematici relativi alla carta, e racconta una scena del viaggio nei ghiacci del suo personaggio.
Il cuore del gioco però sta tutto nelle meccaniche degli archetipi, tipologie di personaggio che si portano dietro, nel minimalismo che ne da forma, la principale impronta alla storia che verrà:
Ogni archetipo ha una diversa distribuzione di punteggi su quattro caratteristiche, che permettono di alterare i semi delle carte (i semi sono il principale motore che determina cosa accade a livello di soggetto in una scena), in modo da portare l'esperienza dettata casualmente dai semi più vicina alla sensibilità e tipologia del personaggio, e questo è importante se si tiene conto che è possibile alterare fino a 3 scene sulle 7 totali.
Ogni archetipo imposta una catena di 7 domande progressive uniche a cui dover rispondere di scena in scena, in presa diretta.
Quello che ne consegue è un gioco piuttosto intimista, che spinge i giocatori a farsi continuamente domande sul senso delle cose, sull'importanza dell'essere e molto altro, toccante e tematico, tutto in un ambiente estremizzato e in un contesto dove la tematica ambientale diventa esistenzialista.
Ci sono poi alcune carte che generano effetti particolari, anch'essi ben calibrati nell'atmosfera del gioco e una serie di condizioni sul finale che rendono le storie sempre abbastanza disperate sebbene con semi di piccole speranze.
Volendo andare al cuore dei principali difetti, forse il gioco, nel suo minimalismo, presenta un gioco quasi in solitaria, dove ogni giocatore costruisce la sua storia, senza che realmente gli altri giocatori possano intervenire, contribuire, aiutare o sorprendere. Forse non è un difetto in sé, ma è certamente un'occasione mancata: quella di poter avere altri giocatori al tavolo, ma che per la maggior parte del tempo sono spettatori passivi di spettacoli altrui. Anche l'assoluta aleatorietà del mazzo avrebbe potuto essere in qualche maniera ridefinita, non solo tramite le caratteristiche degli archetipi, ma magari anche attraverso giochi di concerto tra i giocatori al tavolo, che possono magari aiutare (o indirizzare) temi o scene, o introdurre elementi di cui tener conto.


  • Kids & Legends (edito da Asterion) di Autori vari sotto il nome collettivo di Kids & Legends (e anche sotto l'etichetta Spritzgnack games factory).
Kids & Legends è un titolo che aspettavamo da tempo e che in parte avevamo già lanciato noi stessi con la nomination alla medaglia Garibaldi.
Quella che ne è uscita alla fine è un'opera che certamente non mancherà di dividere in modo netto il pubblico in fronti contrapposti di estimatori e detrattori.
Da parte nostra in effetti le opinioni si sono effettivamente polarizzate su questi due fronti.
E se da un lato non possiamo che applaudire a tutta una serie di idee che potranno fare scuola nel futuro, soprattutto legate alle tecniche di gestione semiotica, citiamo ad esempio le plance per definire l'iniziativa, i dadi colorati con chiari simboli che non richiedono calcoli, l'uso sapiente dei libri a spirale per introdurre informazioni, immagini e ambientazione in modo efficace per "entrambi i ruoli del tavolo (GM e giocatori).
Dall'altro lato non si può non constatare che il gioco è fin troppo debitore a un solo tipo di modo di giocare di ruolo, quello di Dungeons & Dragons, e che malgrado un payoff molto roboante, "il gioco di ruolo per chi non ha mai giocato di ruolo", le meccaniche e le dinamiche reali del gioco ci paiono complesse, troppo complesse da gestire e digerire per dei soli neofiti, e anzi possono apparire "semplici" solo da chi è così addentro all'enorme complessità di D&D da avere una percezione falsata dello scarto (minimo) rappresentato da K&L rispetto alla semplicità o alle tecniche che altri giochi per "chi non ha mai giocato di ruolo" hanno saputo mettere in gioco, e non parliamo di giochi clamorosamente indie: Mostri!? Niente Paura!, Fantastorie, Tails of Equestria, Quest, addirittura Mausritter ci sembra (per rimanere in tema di mondi influenzati da D&D) più funzionale a veicolare il GdR a chi non ha mai giocato prima.
Piuttosto, e questo rimane un vero e puro valore aggiunto considerando che la grande maggioranza di genitori che sono giocatori di ruolo provengono dal GdR targato Hasbro, ci sembra il gioco perfetto per chi già gioca (a D&D) e vuole introdurre a quel modo specifico di giocare nuove leve, partendo da una base semplificata.
Kids & Legends è un gioco che effettivamente ha delle idee seminali, davvero nella scatola (e che scatola) c'è un concentrato di soluzioni che andranno in futuro analizzate e prese a metro di paragone per chi ancora vorrà dilettarsi nel design di giochi introduttivi (o anche per bambini). Impossibile tornare indietro sulle innovazioni suggerite con questo titolo. Solo, non lo troviamo un gioco per neofiti.


  • Lux et Umbra (edito da Roberto Grassi) di Roberto Grassi e Davide Cavalli
Di Roberto Grassi, in questo caso in coppia con il semi esordiente Davide Cavalli, abbiamo già parlato in passato, per il lavoro che precede Lux et Umbra: Magia e Acciaio.
E in fondo potremmo considerare questo loro gioco horror come una variazione meccanica dei concetti di Levity (che ci sembra di anno in anno sempre più dismettere i panni di sistema completo per indossare quelli di più generico framework di tecniche per creare un sistema, a quando un apertura ufficiale ad autori totalmente esterni un po' come accade per i Powered by the Apocalypse, Forged in the Dark o Powered by FATE?) e come una raffinazione delle meccaniche e del testo di spiegazione già presenti in Magia e Acciaio.
La struttura di base del gioco è del tutto sovrapponibile a Magia e Acciaio, molto chiara e dettagliata:
Narrazione per consenso, Veti (estetici e di coerenza), Vincoli, Tiri incerti e Tiri sicuri. C'è qualche piccolo miglioramento nella stesura del testo, con una scorrevolezza e chiarezza che si nota percettibilmente.
Con i Vincoli però si delinea una struttura narrativa a sé stante che lo indirizza sul genere horror e che a tutti gli effetti, esaltando la diversità da Magia e Acciaio, porta declamazione in questa annata di nomination: tra i Vincoli il GM può imporre una Corruzione, elemento meccanico (spinto anche in altri momenti meccanici) che concorre a rappresentare gli aspetti tipici di degenerazione (del personaggio e del suo percepito) che sono tipici nella letteratura horror di riferimento.
C'è anche l'introduzione dei Vincoli che possono essere inseriti dai giocatori, che forse spinge in modo più adeguato il senso di equilibri di potere così importanti nel framework Levity. E infine un piccolo paragrafo su come gestire gli "indizi" che in alcuni gestionali sono fondamentali.
C'è spazio per un approfondimento sulla Corruzione, il funzionamento e la gestione e "il gioco è fatto".
La sensazione generale è che quei piccoli cambiamenti siano in realtà fondamentali per la fruizione della fiction da parte dei giocatori.
C'è il motore Levity, ma quello che ne esce è un ottimo strumento leggero e "generico" per far giocare senza troppi patemi storie horror ben calibrate e funzionanti. Con "generico" intendiamo la possibilità di spaziare da un investigativo horror, a uno scenario lovecraftiano, fino a slasher movie o cose più mistiche come "Omen - il presagio".
I difetti che riscontriamo sono in fondo un po' gli stessi di sempre: è tutto molto preciso e razionale, ma anche poco emotivo. C'è una spinta, nelle meccaniche e nel modo in cui sono spiegate, ad agire sempre in modo molto freddo e distante, come narratori onniscenti che dispongono di marionette in modo molto asettico priva di quell'amore per i personaggi che riteniamo così importante. Infine, c'è quella tendenza di fondo, quasi anarco-libertaria, di voler sempre ribadire le estreme possibilità che il sistema permette, come il fatto che il GM possa tranquillamente far morire tutti con una piccola spesa e senza violazioni, o come il rimarcare sempre che ogni giocatore può sempre mettere becco nei personaggi tenuti dagli altri, che in realtà riteniamo non facciano bene affatto all'armonia di gruppo e non dovrebbero mai essere elencati come buone pratiche di alcun gioco di ruolo o narrazione.




Memento ludere semper

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